Ambientalisti Animati


Pubblichiamo su gentile concessione la conversazione on line tra Andrea Marciani, Claudio Buffi e Massimo Albanese, tre esponenti dell’associazione Beni Comuni Manciano – cacciatori e non – e Antonio Camillo, vicesindaco e assessore all’agricoltura di Manciano. Il loro dibattito è iniziato dopo la pubblicazione su Il Tirreno dell’articolo di Andrea Marciani, che trovate in apertura.

Andrea Marciani

La frizione tra la Natura primordiale e l’homo sapiens ha accompagnato con alterne fortune tutta la storia della civilizzazione umana ma dall’avvento dei combustibili fossili, che hanno moltiplicato in maniera esponenziale la forza dell’uomo (e il suo peso demografico), la Natura sembra aver perso la partita e da 150 anni a questa parte viene sistematicamente respinta in spazi sempre più angusti.

Nella nostra amata Maremma, complice anche la zanzara anofele che, fino in tempi relativamente recenti, ha respinto gli insediamenti umani, la situazione è ancora sostenibile ma gli spazi naturali vanno restringendosi anche qui. Lo dimostra la questione del lupo e delle greggi esplosa in questi giorni.

La convivenza tra interessi economici umani e ambiente naturale è una questione di grande complessità e l’approccio da opposte tifoserie avviato dalle recenti esternazioni di un’associazione animalista è servito solo a generare un’isteria collettiva di cui purtroppo fanno le spese quadrupedi di ogni sorta, dai lupi doc ai cani ibridati, fino agli incolpevoli pastori maremmani e i cani da compagnia, freddati a fucilate all’interno di proprietà private. Sarebbe forse ora di proclamare un “cessate il fuoco” e provare a ragionare a mente fredda (e in questo sarebbe utile che i giornali evitassero di aizzare le opposte fazioni con titoli del tipo: “lupo insegue uno scuolabus”).

È sull’Uomo che ricade la responsabilità di tracciare un confine tra i suoi diritti e quelli dell’ambiente: un confine condiviso, ma una volta tracciato deve essere invalicabile, altrimenti nel giro di pochi anni gli unici animali a farci compagnia al mondo saranno quelli da macello e quelli, appunto, da compagnia. Gli allevatori devono distinguere con onestà quali dei loro problemi sono generati dalla predazione e quali dalla crisi economica e dal prezzo del latte in caduta libera e studiare strategie ragionevoli per risolvere gli uni e gli altri. I recinti per la stabulazione notturna funzionano, a patto di essere monitorati e mano-tenuti (i produttori di frutti di bosco delle Alpi da decenni proteggono le loro coltivazioni dalle incursioni dei caprioli, con reti non meno onerose di quelle anti-lupo). Si tratta di beni strutturali, funzionali all’attività economica, al pari del trattore e della mungitrice e si potrebbe pensare a delle formule per cui la collettività si assuma, almeno in parte, gli oneri economici di queste strutture. Senza dimenticare poi che la globalizzazione e la comparsa sulla scena economica di paesi prima relegati nel purgatorio del “Terzo mondo” impongono a tutti noi “occidentali” una drastica riduzione del tenore di vita.

Gli animalisti, per conto loro, devono liberarsi della visione schizofrenica che gli fa dispensare affetto e protezione diverse a secondo della classe di appartenenza dell’animale. Selvatici, da compagnia, da laboratorio o da allevamento, dovrebbero avere tutti pari diritti, mentre spesso, per scelte dietetiche, i più trascurati sono proprio quelli che soffrono le pene peggiori, quelli che negli allevamenti industriali (ma quelli di ovini e bovini in Maremma non lo sono) vivono nel disagio e muoiono senza dignità.

La sovrappopolazione canina, generata dall’animalismo a corrente alternata dei “canari” dall’abbandono facile, è senz’altro più responsabile del lupo degli Appennini delle aggressioni ai greggi. Un buon punto di partenza per affrontare il problema in modo condiviso sarebbe quello di farlo senza pietismi. In ultima analisi, fallite le anagrafi canine, le sterilizzazioni e le adozioni, siamo sicuri che un “ergastolo” in un canile in subappalto sia preferibile, per un cane, a una “dolce morte”?

(Pubblicato su Il Tirreno il 22/01/2014).

Claudio Buffi

Salve Andrea, mi ha fatto piacere il tuo equilibrato pezzo sui lupi che ci hai sottoposto. Mi ha fatto piacere perché mi confermi l’impressione positiva che avevo già avuto sul tuo “sentire” problematiche faunistiche quando mi dicesti che forse veramente è più etico dare una fucilata a caccia a un ungulato piuttosto che incrementare il mercato degli allevamenti intensivi di tacchini, polli, bovini ecc. Ci tengo però a precisare che io faccio netta distinzione fra cacciatori e sparatori, quest’ultimi purtroppo in netta maggioranza nel nostro Paese, o almeno nel centro-Italia. Chi ha vera passione per la caccia ha prima di tutto rispetto per gli animali, ma soprattutto rimane appagato rispettando regole venatorie che non hanno come obiettivo il numero dei capi, ma il lavoro del proprio ausiliare che ha allevato e addestrato da quando è cucciolo: uno o due fagiani o beccacce o una lepre per i segugisti sono più che sufficienti per tornare a casa soddisfatti. Ho un amico di Poderi che assolutamente alla seconda lepre incarnierata smette di cacciare, anche se sono le prime ore del mattino e potrebbe avere altre occasioni: così alcuni di noi intendono la caccia. Aggiungo che, se dipendesse da me, la caccia ai piccoli uccelli – allodole, tordi ecc. – sarebbe soppressa per sempre, definitivamente, specialmente a quelli migratori. Ma torniamo alla questione di partenza che non è venatoria ma strettamente legata ali vari settori del mondo rurale: condivido quanto hai scritto, solo vorrei che si tenesse conto che opere di prevenzione efficaci – accenni alle reti per i caprioli e altro – hanno un costo spesso elevato e non possiamo scordarci che molti piccoli agricoltori e allevatori, in questi momenti di crisi ma soprattutto di globalizzazione del mercato, sono veramente in crisi.

Massimo Albanese

Rimanendo in tema, senza addentrarmi nel discorso caccia per il quale dico solo che l’immagine romantica del cacciatore appagato, anche se esiste, si riferisce a una specie, quella sì, in via di estinzione (la caccia che vedo è quella delle gare tra squadre a chi ne ammazza di più, è quella arrogante che ti entra in casa con i fuoristrada, è quella fatta con le radioline, è quella che manda al macello cagnetti tenuti reclusi per 12 mesi all’anno, è quella che invece di contenerla crea la sovrappopolazione dei cinghiali governandoli nella stagione della riproduzione…), dico solo che condivido le riflessioni di Andrea. Si dovrebbe trovare una soluzione tra persone pensanti che abbiano la capacità di mettersi anche nei panni degli altri.

Mi ha colpito qualche giorno fa l’incontro con un mio vicino (agricoltore di quelli che odiano i “verdi” con tutto il cuore): parlando dei famigerati lavori del Consorzio Osa Albegna sul fosso a monte dello Sgrillozzo, si lamentava del fatto che in quel fosso lui fino a due anni fa ci andava il sabato con il figlio a pescare mentre ora è stato tutto distrutto. Gli ho fatto notare che era una lamentela da “ambientalista ferito” e che la condividevo anche se non sono mai andato a pescare in quel fosso.

Voglio dire: parliamone di questa storia dei lupi senza sbandierare appartenenze. Il problema dei lupi riguarda Manciano ed è strettamente collegato alla redditività degli allevamenti. Se l’allevatore vedesse riconosciuto il valore del suo latte prodotto in un ambiente incontaminato (ambiente che, tra i tanti aspetti positivi, ha però anche l’inconveniente della presenza dei lupi), se le associazioni di categoria, piuttosto che armare le crociate, facessero il loro lavoro chiedendo per il settore meno burocrazia e balzelli assurdi (sulla monta, sulla eliminazione delle carcasse…) forse la discussione potrebbe essere affrontata con maggiore serenità.

Claudio Buffi

Caro Massimo, per prima cosa ti dico che neppure io ho un’idea romantica della figura del cacciatore. Sulle invasioni dei fuoristrada condivido in pieno, però mail sulle scorribande di quod di ultima moda e di fuoristrada non di cacciatori, ma di mancianesi o turisti che scorazzano per strade fangose per “sport”, non ne leggo. Ma andiamo alla tua critica più importante sulla riproduzione incentivata dai cacciatori. Devi sapere infatti che da ricerche effettuate da tecnici faunistici per conto di un Atc di Siena è risultato che i governi delle squadre di cinghiale non hanno alcun peso sul loro tasso riproduttivo, perché le risorse naturali e agricole a loro disposizione sono tali da rappresentare la fonte principale di nutrimento; aggiungo poi che una discreta parte di mais che distribuisci nel bosco viene mangiata da tanta altra fauna: istrici, lepri, topi, ghiandaie, merli, insomma la lista sarebbe lunga, tanto che si stanno studiando altri metodi più efficaci. In ogni caso il motivo dei governi è solo quello di concentrarli durante i tre mesi di caccia novembre/gennaio per abbatterne in maggior numero, che è l’obiettivo che ci prescrivono non solo la Regione e la Provincia, ma anche il mondo dell’associazionismo agricolo, torno a ripeterlo. Ma quanti di voi sanno ad esempio che l’Atc 8, ma credo anche il 7 e il 6, ha messo tra i criteri di valutazione dell’operato delle squadre un parametro che si chiama “sforzo di caccia” che sta a valutare quante cacciate facciamo nei tre mesi e con che percentuale di presenze rispetto agli iscritti? E quanti sanno che da questa valutazione dipende anche la cifra che dobbiamo versare all’Atc per i danni causati dai cinghiali, come “punizione” per averne ammazzati troppo pochi? Siamo l’unico paese al mondo dove i cacciatori che contribuiscono a controllare una specie che arreca danno all’agricoltura devono anche pagare i danni! In altri paesi europei, ma non solo, accade il contrario: ci sono meccanismi incentivanti per chi controlla cervi, nutrie, colombi, conigli selvatici ecc.

Lo sai qual’è la vera causa dell’aumento dei cinghiali? Non tutte le balle raccontate dalla stampa e dagli amministratori sulle immissioni di individui ungheresi effettuate dai cacciatori trent’anni fa, ma la estesa rete di aree chiuse GIUSTAMENTE alla caccia: parchi, oasi e altre forme che rappresentano circa il 30% del territorio regionale e nazionale. Come spiegare altrimenti il grande incremento di cervidi, visto che i cacciatori non hanno mai immesso caprioli, daini, cervi. Quando è stato fatto – e anche questo giustamente – è stato fatto da Corpo Forestale, Regioni o Province per riqualificare il nostro patrimonio faunistico: ma è comodo addossare la colpa ai cacciatori… La questione lupi ha invece aspetti e motivazioni ben diverse, e ne riparleremo purtroppo perché la cosa non finirà qui.

Massimo Albanese

Certo, rischiamo di dimenticare che c’è un’emergenza CANI E PECORE e va affrontata in tempi rapidi. L’ altro ieri a Saturnia l’ ultimo attacco da parte di un branco di otto cani randagi. Non c’è dubbio che vanno catturati al più presto, e che si facciano battute di cattura in tutta la zona interessata dagli attacchi. Intanto, e non sarebbe poco, si capirebbe se si tratta di lupi o no. Dopo ci metteremo a fare il processo (a loro e a noi) se è giusto carcerarli, riabilitarli, sterilizzarli, eliminarli o addirittura premiarli (stando alla teoria di un “noto luminare”, certo Riccardo Nardi nientepopodimenoche ex guardiano dell’oasi Wwf di Rocconi, la strage di questi predatori potrebbe servire a eliminare le “eccedenze” (???) di pecore.

Andando sul concreto secondo me il Comune deve organizzare quanto prima una riunione operativa per decidere incarichi, modalità e tempi di un piano di cattura ma è tutta la comunità che deve dimostrare di saper affrontare il problema dando la sua disponibilità e, soprattutto, la sua solidarietà a chi è ora vittima dei danni causati da questi animali. Piuttosto che di opinioni ora c’è bisogno di individuare chi può (o deve) fare cosa per risolvere il problema: l’ amministratore, l’allevatore, il cacciatore, l’etologo, il vicino, il parente… E scoprire che magari si può collaborare insieme.

Per iniziare a responsabilizzare la gente si potrebbe iniziare divulgando nelle zone a rischio un numero telefonico del Comune (canile o polizia municipale) a cui segnalare eventuali avvistamenti. L’esperienza dei cinghialai a ormare gli animali e la loro conoscenza del territorio potrebbe servire a capirne gli spostamenti e l’esperto a evitare che si facciano inutili confusioni. Chi ha una cagna in calore può aiutare nell’ “adescamento”… E qui mi fermo per non rischiare anch’io di dire cose a vanvera. Solo per dire che tutti possiamo dare una mano.

Claudio Buffi

Per Massimo: le battute per individuare lupi e/o cani randagi a cosa dovrebbero servire? Quando li hai visti correre in un bosco o in un campo, magari a 100 metri, chi ti dice se sono ibridi o lupi? Nessuno è in grado di farlo. E la ricerca di tracce di esperti cacciatori? Chiedi a Boitani od altri biologi del settore, tutti ti diranno che è assolutamente impossibile distinguere quelle di un cane ibrido da quelle di un lupo. Dicono di esserne capaci solo pochi sbruffoni, spesso cacciatori, che anch’io conosco. La triste verità è che lo puoi fare solo esaminando attentamente l’animale ucciso o instretta cattività. E come li catturi, ti può riuscire con uno, e il resto del branco o degli altri individui sparsi nel comprensorio? Quindi non pensiamo d’inventarci metodi nuovi ed efficaci. La cosa giusta che hai detto è quella di collaborare senza farci prendere dalla voglia di arrivare a soluzioni estreme, da una parte e dall’altra.

Massimo Albanese

Claudio, nella mia email credo che fosse chiaro che lo scopo finale delle azioni da intraprendere è quello della cattura, in particolare di quei branchi che sembrano più aggressivi, per riportare un po’ di serenità tra gli allevatori. Non solo, quindi, per stabilire se sono cani o lupi. Su come riuscire a catturarli vivi, immagino che non sia facile e non sono un esperto; credo tuttavia che non sia impossibile se fatto con il contributo più largo possibile e con squadre ben organizzate. Dopotutto sono animali affamati che si avvicinano ai poderi anche di giorno. Da qualche parte ho letto che alcuni corpi di Polizia provinciale hanno in dotazione fucili a narcotico e che vengono usati proprio per la cattura di randagi: perché non informarsi? Perché non pretendere un intervento del genere dalla Provincia visto che il problema non riguarda solo Manciano? Una cosa è chiara: per evitare soluzioni incivili e truculente il Comune deve prendere rapidamente in mano la situazione.

Antonio Camillo

Grazie Claudio per le precisazioni su caccia e cacciatori, su molti argomenti ci creiamo pregiudizialmente un’opinone senza conoscerli a fondo. Sulla possibilità del Comune di incidere sulla gestione dei cani randagi, l’unica cosa che può fare è incentivare le adozioni attraverso un contributo economico a chi si prende un cane destinato al canile.

Quello che dice Andrea è giustissimo, cioè che in tempi di recessione la questione della gestione dei cani randagi può essere sbandierata anche a fini propagandistici; io credo che sia giusto riflettere e aprire una discussione su questa questione che, comunque, ha una rilevanza economica importante su una piccola comunità, visto che costa 50mila euro all’anno. Le possibilità potrebbero essere svariate, come ad esempio fare un canile che non assomigli a una prigione, dando magari lavoro a qualche concittadino che lavoro non ha. Non si può pensare però che il Comune sia deputato a far tutto: iniziative personali, forme cooperative, associazioni temporanee si facciano avanti su questo come su altri argomenti e prendano iniziative.

Cerco di fornire qualche elemento in più. Oltre al progetto med-wolf, volto al dialogo e alla sensibilizzazione degli allevatori e all’attuazione di sistemi per la protezione delle greggi, la Provincia ha attivato un progetto volto alla cattura e al contenimento dei cani randagi e degli ibridi lupo-cane(ibriwolf). Trattasi di tentativi di cattura di ibridi e/o cani randagi, attraverso gabbie provviste di esche e quindi trasferimento dei cani randagi in canili (la competenza dei costi di cattura e di mantenimento dei cani spetta al comune in cui i cani vengono catturati) e degli ibridi al centro di Semproniano, previa sterilizzazione degli stessi. Tale procedura ha provocato notevoli disagi per le persone addette al controllo della discarica del Tafone che, a tutt’oggi è affidata in via straordinaria ai comuni ex conferenti e quindi al comune capofila Manciano, nonostante una convenzione firmata con Ato ad aprile 2013 che prevedeva l’affidamento della gestione post-mortem al gestore unico (ma questa è un altra storia…). Il dottor Christian Angelucci, alle cui capacità e alla cui affidabilità, oltre che all’impegno degli amministratori di Manciano, si deve il fatto che la discarica sia in condizioni estremamente migliori di quanto fosse mai stata, si è trovato in grande difficoltà. In quanto ben tre gabbie (poi aumentate a quattro) si trovano all’interno della discarica (si tratta di gabbie contenenti teste di agnello sanguinanti…) e attirano cani randagi o ibridi, producendo quindi una situazione di pericolo per chi ci deve lavorare. Tant’è che Christian è stato rincorso da quattro cani randagi e ha raggiunto la macchina per miracolo! Per questo abbiamo chiesto alla Provincia di rimuovere le gabbie e metterle in un luogo che non sia pericoloso per gli operatori.

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