Io, lupo tedesco: Wolffundus


Mi aggiravo nei cupi boschi dell’Argovia, forse ero nei pressi di Sonthofen, quando sentii uno zampettare troppo vicino. Era Brund, uno dei miei fratelli maggiori. “Wolff – mi disse, visto che non gli avevo chiesto niente. – Ormai la sciocchezza l’hai fatta. Sei fuori dal branco. Qui se ti va bene, muori di fame. Ti conviene andare, andare via, lontano: in posto dai quali non può arrivare il sentore di te”. Continuai a tacere: avevo fame. Brund continuò a parlare: aveva mangiato.

“Vedi – disse ancora, saggio e suadente – tu sei fortunato: sai scrivere e conosci le lingue, anche l’italiano. In Italia non sanno che tanti millenni fa avvenne un disguido nel Dna dei lupi bavaresi. Alcuni assunsero sembianze umane, pur conservando la ferocia dell’istinto: rischiavano di tradirsi con il tono un po’ alterato, ma nessun umano poteva farci caso e intuire che quello, anche se con aspetto da uomo, era un lupo autentico. E altri, invece rimasero lupi d’aspetto, ma avevano mente umana. Come succede a te…”

Scossi la testa, anche perché mi era pervenuto il profumo di una marmotta morta sotto le foglie marce: forse si mangiava. “Potresti andartene in Italia – suggerì Brund. – In clima è buono. Non c’è molto da mangiare, ma puliscono così di rado il sottobosco che qualcosa vecchia la trovi sempre. E poi in Italia i lupi, anche se apparentemente temuti, godono di buonissima fama. Indovina chi avevano per mamma i gemelli che fondarono Roma? Una lupa! Quale animale selvatico decise di ammansire San Francesco per dare prova della sua santità? Un lupo! Tu hai letto poco, perché hai sempre passato il tempo a sedurre le lupacchiotte degli altri branchi e così ti sei fregato, ma in Italia il lupo è un animale simbolo, entra in tutti i discorsi. Come si chiamavano i bambini fascisti? Figli della lupa! E come dicono gli italiani quando devono indicare un cattivissimo tempo? Tempo da lupi…”

Scartai di lato, distanziando Brund di qualche metro per fargli capire che mi aveva convinto e che poteva anche smettere di rompermi le scatole. E con la marmotta morta fra i denti mi allontanai a capo chino verso altri monti. Feci un mezzo giro delle Alpi, arrivai dopo mesi e mesi in un posto dove parlavano francese e le targhe dicevano Col di Tenda. Proseguii verso l’Appennino ligure. Impiegai quasi due anni ad arrivare in Abruzzo: Bel clima, faceva meno freddo che in Baviera. Begli umani: pochi forestali e cacciatori saggiamente timorosi di confrontarsi con un lupo nero, di evidente piglio tedesco, occhi fiammeggianti e grinta da spaventare un leone.

Pensai: questo è il mio posto. E cominciai a studiare l’ubicazione dei pollai: La studiai così bene che nel volgere di pochi mesi mi feci una bella panza da labrador. Il nuovo look mi donava, incedevo maestoso e solenne. Ma avevo perso lo scatto: adesso perfino i tacchini mi sfuggivano. Mentre io non riuscivo a sfuggire ai lupi locali, che non avevano alcuna ammirazione peri miei bottini. Feci amicizia, durante un inverno, con un branco di lupi marsicani che mi trattò con molto rispetto ma non mi accettò. Ero troppo diverso. E anche loro erano diversi: non sapevano parlare neanche in italiano e non scrivevano. Mi impedivano soltanto di conquistare altri pollai e altre greggi. Insomma: peggio che in Argovia. Decisi di andare e l’istinto mi portò in Maremma.

Oh, che belle colline. Oh, che belle pecore. E che bei cavalli. La Maremma era il paradiso terrestre. Era la Svevia, col clima Mediterraneo e la carne che sapeva di mare. Ce n’erano di altri lupi, ma non troppi. Si poteva stare. Col mio segreto vantaggio di saper scrivere, leggere e conoscere le lingue. M’ero già fatto il mio ambiente, mi piaceva la valle dell’Ombrone e impazzivo di felicità nel parco dell’Uccellina. Da quelle parti, un giorno, dopo essermi fatto fuori un’oca che pareva una balena, conobbi un ragazzotto che andava a cavallo e che stava a scagnarsi un pezzone di pane nero con dentro un quarto di prosciutto. Si spaventò nel vedermi, mise mano al fucile e io calmo:

“Buono, buono, cosa vuoi sparare… Non senti che parlo come un umano?”

Gli cascarono da una mano il fucile e dall’altra il pane col prosciutto: “Oh, Dio bonino, mammachechéffai… – balbettò – Tu parli?.. Oh, santa vergine, oh madonna, e chi mi crede se la racconto…” “Bravo – gli risposi. – Non raccontarla e fai meglio. Teniamocelo per noi questo segreto. Ci fai pure bella figura: il bùttero coraggioso che va a spasso con un lupo nero… pensa diventerai famoso.”

Da quel giorno, mi ritrovai tutti i giorni col mio amico bùttero, che si chiamava Iggiovanni. Certe volte mi portava anche sei o sette polli allo spiedo, buoni, ma mi levavano lo sfizio di dargli la caccia, inseguirli, azzannarli, sbranarli. Per un lupo vero, farsi servire il pranzo a tavola è l’anticamera della fine. Eppure, di lupi che si facevano servire il maiale a tavola ne vedevo ogni giorno di più. Un vecchio lupo maremmano, che non parlava, ma scribacchiava con la zampa sul terreno mi spiegò che erano i lupi della razza Kapalb, molto vorace e piuttosto pericolosa. Avevano il culto del branco. Chi violava la gerarchia era finito.

Meglio non averci a che fare.

Chiesi informazioni a Iggiovanni, che sbiancò in volto e mi rispose: “I lupi Kapalb… unnennesogniénte… unnesogniéente… Parla con Rich, vedi se lui te dice quaccòsa…” Non fu facile trovare questo Rich, fargli capire che ero un lupo nero, sì, ma scrivevo e parlavo in varie lingue, che anche a lui conveniva mantenere il segreto. Ma alla fine fu tanto contento che mi offrì mezzo cinghiale. Glielo spazzolai in poco più di mezz’ora, troppo in fretta, crollai stecchito a dormire. Quando mi risvegliai ero nell’ovile di una villa, adattato per l’occasione a lupile. Rich mi versava amorevolmente litri di digestivo fra le zanne, parlandomi in inglese: “You’ll be my secret agent in Maremma area.. you’ll be my intelligence in the County… you’ll write a column in my quarterly magazine…”

“Sì – gli risposi in italiano. – Ma tu mi confermi che i lupi di razza Kapalb sono i più pericolosi della Maremma?”

“No comment”, si irrigidì lui dietro il farfallino. E da quel momento capii che mi avrebbe detto più cose Iggiovanni. Capii pure che avevo fatto bene ad andarmene dalla Baviera. Quale posto più bello della Maremma per vivere?

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