Cantieri della Memoria, sguardo sul futuro
Dalle pietre al digitale. Un progetto che ha coinvolto quattro comuni della provincia di Grosseto. Per rivisitare la storia locale superando gli stereotipi del “bel tempo andato”. E trovare così le idee per il cambiamento
Memoria di eventi, di lutti, tragedie e speranze, alcune irrealizzate, altre con esito sul momento esaltante. Deportazione politica e razziale nella Maremma degli anni della guerra iniziata nel 1940, stragi di civili, ma anche vittoria dell’antifascismo e dell’esercito alleato, che porta la Maremma – precocemente, rispetto al Nord – nel clima della pace e della ricostruzione della vita degli individui e della collettività. Storie raccontate in un sito web, che si raggiunge con un codice QR, come ormai si fa ovunque, facilmente.
Ma non c’è nulla di ovvio in questo progetto, perché mette insieme tanti soggetti collettivi, pubblici e privati, e mette in primo piano, con una sottolineatura del tutto nuova, luoghi ignorati, non perché ignoti, ma perché chi passava nei pressi al massimo dedicava loro uno sguardo distratto. Vecchi monumenti, vecchie targhe, o nulla, ma solo il ricordo di qualche abitante del luogo, ricevuto in eredità dai vecchi.
È stato un lavoro di ringiovanimento della memoria. Quello della memoria è un tema che si coniuga, qualche volta in armonia, in qualche caso in conflitto, con quello della storia. Non è questa una sede adatta a una riflessione filosofica, che è stata fatta, né per ragionare sull’attualità dell’uso pubblico di storia e memoria, tema caldo e complesso. Valgano come fuggevole cenno le parole dello storico francese Pierre Laborie, che chiama la storia “guastafeste della memoria”.
Qui mi interessa invece pensare ai significati e alle forme d’uso della memoria del territorio in cui viviamo: Grosseto e il suo vasto entroterra e la sua costa. Ancora una volta senza toccare teoricamente grandi temi: identità e localismi, globale e locale. La memoria è di donne e uomini che hanno agito e lasciato tracce e costruzioni o distruzioni. Memoria che sta nella terra, nelle case, nelle istituzioni, nei linguaggi e così via. I miei ultimi lavori, nel contesto dei progetti dell’ISGREC, sono il citato “Cantieri della memoria” e la ricerca su agricoltura e paesaggi “Maremma come Mediterraneo”. Apparente distanza, grande reale vicinanza, a mio giudizio. Anche la ricerca su agricoltura e paesaggi ha un sottotitolo: Terra di grano, vite, ulivo. Vi si ricostruisce la tradizione di queste colture, dal passato remoto al presente, passando per tappe affascinanti, che dimostrano quel che spinse Sallustio Bandini a fine Settecento a scrivere un elogio della Maremma Toscana, mentre era terra desolata: in passato i suoi campi di grano avevano nutrito mezza Europa.
Che cosa accomuna questi due modi di lavorare sulla memoria? È lo sguardo verso il futuro, che solo la storia riesce a creare. La strana rappresentazione di Paul Klee che ispirò Walter Benjamin – nel suo Angelus novus – è l’angelo della storia, che «sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo…Ha il viso rivolto al passato…ma una tempesta spira dal paradiso…lo spinge irresistibilmente nel futuro…Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta». Compito difficile quello che secondo queste immagini avrebbe la storia. Certo sembra un’opera essenziale: governare la memoria, che si attarda spesso su quello che è stato, non riuscendo a trarne la spinta per il volo verso il futuro. Può sembrare irriverente trasferire un pensiero complesso da interpretare, legato a un gioiello della pittura del Novecento, a un piccolo discorso sulle piccole cose di cui ci si occupa cercando di fare storia, anche lavorando sulla memoria, in Maremma. Ma darebbe, almeno così mi sembra, strumenti per pensare tutto ciò che riguarda il passato avendo l’occhio al bisogno di futuro che questa terra, come tutte, ma forse più di altre, ha. C’è molto di comune fra lo sguardo di chi si occupa di tradizioni e culture materiali, legate al passato rurale della Maremma e chi si occupa di memoria in senso civile, pensando a tener vive le idee e le azioni di chi ha lottato per valori umani e sconfitto violenze. E comune può essere un modo di trattarle che plachi la tempesta che giunge dal Paradiso, con il pessimo risultato di far chiudere le ali all’angelo della storia.
Passato, macerie, niente futuro. Magari la narrazione dei testimoni, che ci commuove e ci aiuta a condividere emozioni importanti, ma non basta, se non elaboriamo le emozioni e le traduciamo in un’altra lingua. Così le tradizioni del mondo contadino, della ruralità che ci contraddistingue, non sono riti in cui rinchiudersi ripetendone le liturgie. Per ragionare su cose: la Maremma di oggi ha uno sguardo al futuro, possibilità di uscire dal chiuso. Accanto ai maggiolini che continuano a seguire la tradizione della notte del primo maggio, girando per le campagne, cantando e riempiendo panieri di doni, insieme alla nascita di nuovi gruppi musicali di giovani che replicano le musiche e i canti della tradizione contadina, tutto considerato l’immagine della modernità sembra prevalere. Le reti di livello prima nazionale, ora europeo per la promozione e la distribuzione dei prodotti delle colture mediterranee locali ne sono una testimonianza.
Se in queste zone ci si fosse attardati troppo sull’immagine di un passato da vagheggiare, magari replicare senza trarne lezioni utili alla creazione di nuovo, non ci sarebbero alcune tra le condizioni necessarie per dialogare in termini sia culturali che economici con altri luoghi. Non è un rischio da sottovalutare: è certo più facile, richiede minori energie l’autoreferenzialità consolatoria dell’affabulazione su butteri e simili. Ma ci sono altri possibili approcci alle tradizioni e alle memorie.
In certi contesti europei è in corso una ricerca di dare una nuova interpretazione alla dimensione “memoriale” dei territori. Le memorie hanno come coordinate il tempo e lo spazio. Il tempo ne sedimenta di volta in volta pezzi, per accumulo o per scontro e mutamento; lo spazio, lungi dall’essere identico a se stesso, è al centro di una rete o sul bordo di una frontiera, dove hanno luogo i “passaggi”. Il presente ha superato la dimensione lineare del confine, come scrivono alcuni storici: la rete aperta sostituisce la linea che chiude. Contaminazioni, mutamenti, innesti sono condizioni utili. La convinzione di Sallustio Bandini, che fosse inaccettabile nel XVIII secolo lasciare improduttiva e arretrata quella Maremma, ha ancora un valore di guida. I suoi scritti venivano letti a Parigi.
Trasferendola anche in altri territori ideali, non si tratta più semplicemente di grano da esportare, ma di strade da far percorrere ai prodotti e agli uomini, di culture da alimentare, sempre nell’accezione non restrittiva del termine. Mentre il lavoro in molti contesti, anche vicini, ha modificato rovinando, il paesaggio della Maremma ha la prerogativa di poter esibire natura e cultura.
Quanto ai valori della vita civile, il discorso è molto più complesso. I contesti europei in cui lavoriamo a progetti con partner di altri paesi europei riguardano le memorie di confine (Mémoires des frontières è l’ultimo progetto). Confini spaziali, confini temporali, confini culturali. È il tema dell’altro, in tutte le sue accezioni. La prima metà del Novecento risponde alla definizione di “secolo delle tenebre”, datagli da un grande testimone, il filosofo Tzvetan Todorov. Ma la seconda metà è frutto di lotte per sconfiggere le idee e gli uomini che avevano prodotto le tenebre. I valori su cui si fonda la nostra vita civile, nel nuovo secolo, non sopporterebbero un ritorno al passato di esclusioni. I segni di cedimento a nuove chiusure e a nuove forme di egoismo vanno colti. Non basteranno i testimoni a superarli. Per questo è importante tenere in piedi cantieri della memoria, a patto di alimentarli con lo sguardo al futuro.
Luciana Rocchi, storica
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