Ciaffagnone, cibo ancestrale
Più di un piatto tipico, un esempio di arte culinaria. A cui ora è dedicato un libro
Il ciaffagnone è un piatto tradizionale tipico di Manciano che, per iniziativa dell’amministrazione comunale, è stato da poco inserito nell’elenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Si tratta di un riconoscimento dovuto e necessario al fine di proteggere la specificità del prodotto mancianese. Sicuramente, poi, a seconda di come verrà utilizzato, questo riconoscimento – e l’operazione culturale che lo ha sorretto – potrà contribuire a definire una più ampia e auspicabile azione di valorizzazione dei prodotti alimentari locali e delle ricette più significative e particolari della cucina mancianese che la differenziano da quella maremmana, di cui peraltro culturalmente e storicamente, fa parte.
Come scriveva nei primi anni Settanta Luigi Veronelli parlando di Manciano: «In qualche famiglia legata alle tradizioni, “resiste” una cucina che è delittuoso lasciare perdere: il ciaffagnone, sottile sfoglia di uova e farina cotta in padella unta di lardo e cosparsa di cacio pecorino; i chiusoni, grossi spaghetti di pasta di pane lievitata; l’acquacotta; il buglione, zuppa d’agnello cui danno esaltazione vino rosso, aglio, peperone, salvia e rosmarino».
A quelli citati, forse andrebbero aggiunti altri piatti ugualmente caratterizzanti la cucina locale, quali i tortelli mancianesi, con zucchero e cannella nell’impasto di ricotta e spinaci, una variante del tradizionale tortello maremmano la cui ricetta, che solo qui si è mantenuta in questa forma, ha probabilmente origini rinascimentali.
Il ciaffagnone mancianese è un piatto essenziale, “leggendario” e “ancestrale” come ebbe a definirlo lo stesso Veronelli. Si realizza con un impasto di uova, acqua e farina; si cuoce su una padellina unta con il lardo di maiale, realizzando sfogliatine sottilissime che devono essere condite, appena cotte, con cacio pecorino grattugiato, e ripiegate in quattro. La rapidissima cottura, che lo rende subito disponibile per il consumo, e i componenti essenziali (acqua, farina, uova) della preparazione lo accomunano a una serie infinita di prodotti alimentari sostitutivi del pane e della pasta – dai testaroli alle azime – dai quali si differenzia essenzialmente per la rilevanza dell’uovo nell’impasto di preparazione e per il condimento esclusivo con cacio pecorino, che rimanda certamente alla cultura della transumanza e dell’allevamento ovino che per secoli ha caratterizzato la zona.
Nell’ambito dell’iniziativa di valorizzazione e promozione di questo piatto tipico, l’Assessorato al Turismo dell’amministrazione ha recentemente pubblicato un volumetto di 60 pagine riccamente illustrato, che finalmente presenta in maniera dettagliata e inequivocabile la ricetta, mette a confronto piatti simili evidenziandone le differenze, analizza i vari ricettari locali e le modalità con cui il piatto viene presentato, tenta una ricostruzione storica – demistificando alcune leggende – anche in relazione alle modalità d’uso e alla cultura del territorio. La pubblicazione, significativamente intitolata Il ciaffagnone mancianese: un cibo ancestrale, è distribuita gratuitamente e può essere richiesta all’Ufficio cultura del Comune di Manciano, o scaricabile come eBook dal sito:
www.mancianopromozione.com.
La ricetta
Le dosi indicate dovrebbero consentire la preparazione di una sessantina di ciaffagnoni – il rapporto dovrebbe essere: per ogni uovo, dieci ciaffagnoni – e possono essere aumentate o diminuite proporzionalmente in tutti i componenti a seconda del bisogno.
Si prendano 6 uova e si rompono in un recipiente abbastanza capiente e alto; si sbattono con una frusta e si lascia cadere a pioggia la farina (200 g circa) e, mentre si continua a mescolare, si aggiunge un pizzico di sale. Si forma così un impasto denso che va diluito, piano piano, con dell’acqua tiepida (600 ml circa), fino a formare una pastella, né troppo solida, né troppo liquida, che dovrà avere approssimativamente la consistenza del latte intero. La quantità dell’acqua è comunque indicativa e la pastella va “aggiustata” fino a raggiungere un risultato tale che, quando verrà versata nella padella in quantità sufficiente a formare un sottilissimo strato che «possa distribuirsi facilmente su tutta la superficie». L’impasto così preparato va poi lasciato riposare per circa un’ora.
Le padelle devono essere di ferro, di 20 cm circa di diametro. Il mestolino deve essere di dimensioni ridotte, tanto da poter contenere appena un uovo (di cat A) con il guscio. Le padelle devono essere ben calde: dopo averne unto il fondo con il lardo, vi si versa un mestolino di pastella facendo in modo che si distribuisca in maniera uniforme. Il movimento del polso nel ruotare la padella è fondamentale e si acquisisce dopo una lunga pratica. La padella deve essere unta a ogni cottura. Appena dorato da un lato il ciaffagnone viene preso per un lembo, rigirato e fatto indorare dall’altro, una mano esperta riesce a fare questa operazione senza toccarlo, con solo un movimento secco della padella. Perché la cottura sia perfetta il ciaffagnone, preso con tre dita, deve comportarsi come uno straccetto floscio, se resta rigido è stato cotto troppo. Via via che si preparano si poggiano l’uno sull’altro in un piatto, si distribuisce sulla superficie di ciascun ciaffagnone un pugnello di pecorino stagionato grattugiato e si piega in quattro a formare un triangolo. Si mangiano con le mani.
La maniera più classica e tradizionale di consumare il ciaffagnone è quella di mangiarlo condito con solo pecorino (in alcuni ristoranti vengono presentati in un piattino, con una leggera striatura di miele). I ciaffagnoni possono essere utilizzati anche come involucro per un ripieno di ricotta e spinaci, alla maniera dei cannelloni, e ripassati in forno con besciamella, con condimento variabile, dal sugo di carne, ai funghi in bianco.
Lucio Niccolai, insegnante di storia e filosofia all’Istituto tecnico di Manciano, è autore di testi sulla storia e la cultura della Maremma; collabora a varie riviste, tra cui Testimonianze.
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