Intervista a Carlo Santarelli


di

Editore: La Maremma delle Idee

«Dobbiamo dirlo, il mondo delle istituzioni è in clamoroso ritardo. Non solo, ha sempre cercato di sopire il problema, negando l’evidenza». L’evidenza è naturalmente quella degli attacchi degli animali predatori alle greggi, e a parlare è Carlo Santarelli, presidente del Caseificio Sociale di Manciano, l’azienda più importante di tutto il territorio, che dà lavoro a 85 dipendenti e 300 allevatori, soci della cooperativa. Una realtà produttiva che con un fatturato annuo di 16-17 milioni di euro rappresenta il 50 per cento del Pil del territorio. E che produce una Dop di eccellenza, il formaggio pecorino, messa a rischio se dovesse continuare il calo della produzione di latte delle pecore maremmane.

Quali sono i numeri del calo di latte?

«Nei primi due mesi del 2014 la produzione di latte è a meno 30 per cento rispetto al 2012. I danni non sono rappresentati solo dalle uccisioni, ma anche dalle conseguenze sulla vita delle pecore: perdono il latte, abortiscono o saltano un calore… Danni irreparabili, sappiamo che le pecore sono tra gli animali più paurosi, dopo un assalto il loro equilibrio viene danneggiato per mesi. A tutt’oggi, solo tra i nostri soci, hanno chiuso in tredici, stremati dalla perdite e dalla crisi generale che riduce i guadagni. È un segnale non certo confortante».

Come si è arrivati a questa situazione?

«Tutto è cominciato vent’anni fa con il progetto san Francesco, che ha inserito il lupo appenninico nelle nostre terre, dove non c’era mai stato. Non mi sento di criticare il progetto, sia chiaro, se la loro presenza fosse equa la convivenza potrebbe essere serena. Invece negli ultimi anni è successo che gli animali sono di gran lunga superiori al numero consentito nel territorio. Il motivo? I lupi in purezza sono quasi scomparsi, mentre sono in aumento esponenziale gli ibridi, frutto dell’incrocio con i cani randagi, una vera mutazione genetica. Sono i branchi di ibridi che attaccano le pecore fin dentro l’ovile, anche di giorno. È questo il fenomeno che ha segnato il salto di qualità. C’è una grande differenza tra il comportamento del lupo, che è un animale nobile: attacca solo di notte e al buio totale, addirittura evita i raggi della luna. Invece l’ibrido è molto più difficile da tenere a bada, perché nel suo comportamento assomiglia più al cane: non ha paura dell’uomo, e nemmeno della luce. Inoltre, si riproduce molto di più del lupo, che fa al massimo uno, due cuccioli. Per tutti questi motivi è molto difficile catturarlo vivo, e non bastano certo i recinti».

Non abbiamo dati precisi sulla popolazione di ibridi e sulle uccisioni di pecore. Come se lo spiega?

«Il paradosso è che fino a un anno fa le istituzioni negavano gli attacchi, e si è cercato anche di dare la responsabilità ai cani degli allevatori, oltre al danno la beffa! I dati ci sono, almeno quelli delle morti, avvenute per cause naturali o violente, regolarmente registrate dalle Asl. Per quanto riguarda il censimento degli ibridi, sono sicuramente centinaia. Chi si occupa dei progetti ibri-woolf e med–woolf qualche numero lo avrà. Se non si rendono pubblici è perché probabilmente non si vuole alimentare l’allarmismo. Si continua a minimizzare il problema. È un atteggiamento che risale a molto tempo fa: nel 1994 la Regione promulgò una legge per risarcire i danni agli allevatori procurati dalle incursioni di predatori, ma due anni dopo fu cancellata, perché i rimborsi aumentavano sempre di più e costavano troppo… E nessuno ne ha più parlato. L’errore della Regione è aver permesso il degenerare di questo fenomeno».

Se non si affronta il problema, che conseguenze potrebbero esserci?

«Come dicevamo prima, se dovessimo ricorrere al latte proveniente da altre regioni, è a rischio il nostro prodotto Dop. Ma tutto il territorio è a rischio, perché se i pastori dovessero abbandonare i pascoli, scomparirebbero paesaggio e cultura agricola. Dove non va più il pastore non si può fare nient’altro, già ora ai piedi dell’Amiata, a Murci o Roccalbegna, ci sono molti terreni a pascolo abbandonati, inselvatichiti. Se si dovesse estendere il fenomeno, che ne sarà della bellezza che ci circonda, garantita proprio dall’equilibrio tra la natura e la presenza umana? Le ripercussioni sarebbero a catena: sull’economia, sul lavoro, sul turismo. Non ce lo possiamo permettere».

Donatella Borghesi

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