Coniglio Ernest e altri animali


“L’Asino è passionale”

I maremmani, si sa, arrivano da tutto il mondo. Giuliana Giuliani vive dal 1999 a Pomonte, in un casale della riforma agraria, «con un numero crescente di animali». Ma viene da lontano: nata a Bologna, dopo dodici anni a Milano (dove ha studiato filosofia alla Statale), si è trasferita a Berlino: ha aperto una libreria e ha iniziato la sua attività di traduttrice dall’inglese e dal tedesco. Ha lavorato per l’Hebbel Theater e per una radio di Colonia per gli italiani residenti in Germania. Dopo 22 anni di vita berlinese, ha scelto gli ampi spazi della Maremma. Questo suo primo libro, Coniglio Ernesto – pubblicato da Stampalternativa, nella nuova collana Strade Bianche – è la testimonianza del suo amore per gli animali, ma è anche un’inchiesta affettuosa tra tutti quelli che nel territorio si dedicano a curarli e proteggerli: da Luciana che sta a Rispescia con il suo piccolo zoo al Centro di recupero animali selvatici di Fibianello, dagli asini di Cellena ai gatti Main Coon delle suore carmelitane di San Quirico. Ne pubblichiamo il primo capitolo e qualche passo di “L’asino è passionale”.

Il coniglio Ernesto mi veniva incontro, quando tornavo la sera dalla libreria, e scuoteva la testa facendo volare le orecchie; allora dovevo rincorrerlo per la casa, lui scappava dietro le grandi stufe di ceramica, guardava se c’ero e si rinascondeva. Dieci minuti di quel gioco e le mie difficoltà di libraia a Kreuzberg, quartiere interessante ma povero di Berlino, mi apparivano ridimensionate. La mattina Ernesto saltava sul letto, mi appoggiava una zampa sulla spalla per tenermi ferma e mi leccava i capelli che portavo cortissimi. Per nove anni mi ha regalato allegria e smussato gli angoli di una vita molto intensa. Nei miei ventidue anni berlinesi non ci sono stati molti altri animali. Ricordo Oskar, un gattone che mi era stato regalato agli inizi e dal quale mi separai dopo pochi mesi perché dovevo scegliere fra lui e una coabitazione con tre amiche. Il signore che lo adottò disse che lo avrebbe castrato, io glielo affidai lo stesso e ne provai rimorso per anni. Adesso faccio campagne per la sterilizzazione di cani e gatti, ma allora, si parla della metà degli anni Settanta, privare un animale della vita sessuale mi sembrava un’atrocità. Molti anni dopo ebbi a che fare con Hugo, un fiero pappagallo cacatua tutto bianco con la cresta rossa. La mia insegnante di yoga lo aveva visto dentro una gabbia nel grande magazzino Karstadt e se l’era portato a casa pensando di lasciarlo libero. Quando lei e la famiglia partirono per una lunga vacanza, accettai volentieri di far compagnia al cacatua nel loro confortevole appartamento. Fu un incubo, Hugo voleva compagnia ventiquattro ore al giorno. Appoggiava la testa alle sbarre della voliera e mi guardava da sotto in su con occhi amorosi dicendo: “Mi chiamo Hugo, alle sei e mezza si chiude e si va a casa,” ma se lo accarezzavo girava la testa di scatto per beccarmi. Se mi allontanavo di qualche metro strillava a piena gola, lo sentivano in tutto il quartiere. Un amico che m’incontrò per la strada in quel periodo mi disse che avevo le occhiaie e mi muovevo come braccata. In effetti sussultavo a ogni minimo rumore. Tutt’altra impressione mi fecero gli elefanti fermi in mezzo alle piazze, in India, e le mucche che mi trovavo davanti girando un angolo. Guardando un gruppetto di capre che andava per un vecchio quartiere signorile di Calcutta, pensai che uno spettacolo simile avrebbe fatto bene anche ai nervi dei berlinesi. Nel 1989, al crollo del muro, uno dei miei primi pensieri fu: “La domenica potrò andare in campagna a guardare le mucche.”

Poi, dopo una vita passata con grande soddisfazione in paesaggi metropolitani, sentii il bisogno imperioso di spazi aperti, silenzio, mare. Durante una vacanza natalizia nella Maremma toscana, dove mia madre aveva comprato una casa, mi ritrovai ad annusare gli odori della macchia mediterranea come se li sentissi per la prima volta, e dopo un anno mi ci sono trasferita. Pensavo che presto avrei avuto anatre, capre, asini, ma volevo anche essere libera di viaggiare. Quasi senza accorgermene mi sono trovata circondata di gatti, trovati nelle varie case in cui ho abitato o raccolti per strada. Ai cani ho resistito per anni, l’idea di essere venerata mi metteva a disagio e a prendere un cane mi pareva di metter su famiglia. Tutte queste considerazioni sono state spazzate via cinque anni fa da Nené, splendida setter bretone color oro rosso che vagava sotto il paese di Montemerano cercando qualcosa da mangiare. L’ho portata a casa pensando che si fosse persa, invece era stata abbandonata. Ora vive con i miei genitori che intorno a casa hanno un bel terreno recintato dove può correre a volontà, però i primi mesi li ha passati con me e i miei pazientissimi gatti. Dopo di lei non c’è stato più freno; visto che non ero più gattara e basta, un’amica un giorno mi ha comunicato: “Ti porto una pinscher per qualche settimana, io non so come fare.” Questa amica vive vicino a Sorano con venti cani, quasi tutti salvati da situazioni orribili, e se ti chiede un favore non puoi dirle di no, però ho pensato: “Ecco, adesso mi lascia qui uno di quei cagnetti isterici che ti si attaccano ai polpacci.” La pinscher è arrivata, si è rivelata saggia e pure buffa, è rimasta con me e mi sembra di conoscerla da sempre. Agli inizi quando mi guardava con adorazione le dicevo: “Non ti merito, con me sei sprecata. Una come te ha una missione da compiere, dobbiamo trovarti un umano che si sente solo.” Dopo di lei sono arrivati Zorro, pastore maremmano, altra razza che consideravo temibile, e Ginger; quando me l’hanno portata mi è sembrata grande come un cavallo, adesso non me ne accorgo più. Con gli animali succede come con gli umani, dopo un po’ che li hai intorno non noti più i loro tratti somatici, il colore della pelle e altre caratteristiche esteriori, perché emerge tutta la personalità. I gatti non mi hanno abbandonato. Non li nomino tutti ma accenno a Emma che beve portandosi l’acqua alla bocca con la zampa, a Ludovico che mi appoggia la fronte contro le gambe e rimane lì fermo in silenzio finché non lo accarezzo, a Merlino che apre la credenza e mi guarda come per dire “perché ti stupisci?” La mattina presto Titina salta sul letto, mi mette una zampa sulla spalla per tenermi ferma e mi liscia i capelli con la lingua; secondo i criteri animali ho ancora un’aria trasandata. Grazie a questi esseri pieni di carattere e di qualità misteriose sono arrivata a conoscere un genere particolare di umani: persone che si dedicano al salvataggio di animali maltrattati e abbandonati con una costanza inamovibile, che puntano la sveglia tre volte a notte per dare la medicina a un cane malato o controllano per ore la flebo del gatto. In loro scopro una premura spontanea che m’incanta, e allora penso che forse non siamo così lontani dal vivere bene.

L’asino ti leva i cattivi pensieri

Cellena è un paesino nascosto dietro Semproniano, si affaccia sulle montagne di fronte alla cittadina di Santa Fiora. Non è lontano dalla costa ma ha un’atmosfera appartata, e un’ aria fresca da stazione climatica. Sembra il posto giusto per gente che ama la solitudine, ma dopo undici anni di vita campagnola so che pure gli angoli apparentemente sperduti offrono occasioni di incontro. Ginevra Ruina vive in una bella casa in pietra, arredata con pochi mobili di ottimo gusto. Poco lontano c’è il terreno con gli asini. La prima volta che vado da lei mi porta alle stalle, mi mette in mano le redini dell’asino Bricco e mi dice di accompagnarlo nella sua passeggiata. Mi avvio accanto a lui per un sentiero e noto che è di piacevolissima compagnia, perché mi sta vicino e intanto segue le sue occupazioni preferite, si fa accarezzare e poi bruca un po’ di erbe. La seconda volta che vado a trovare Ginevra è inverno, restiamo in casa a parlare davanti alla stufa. “Qualche anno fa ho deciso di comprare degli agnelli e regalarli a persone che li tenessero in vita. Vado da un macellaio a Santa Fiora e gli dico: “Hai qualche agnello che vuoi darmi? Lo acquisto come se comprassi carne però lo lasciamo vivo.” Lui dice: “Senti, c’avrei un asino che andrà sicuramente a finire al macello, se forse vuoi lui sono felice di dartelo.” Il fatto è che a tutti dispiace macellare un asino, suscita una grande empatia, riesce a comunicare il suo malessere, il suo amore, il suo essere vivo, e dunque anche a questi omaccioni con i baffi dispiace macellarlo. Così è entrato nella mia vita il primo asinello, un amiatino che il mio compagno di allora chiamò Burro. Ce lo portammo al podere e così nacque l’amore per questi animali. Quando mi sono separata Burro è rimasto con il mio compagno e io ho cominciato a prendere altri asini da un allevatore e commerciante di Arcidosso. Erano molto giovani, sui cinque mesi.

Ho comprato anche maschi e tutti mi deridevano perché dicevano: “Che ci si fa con un asino maschio?” Nel mondo equino il cavallo castrone lo trovi in tutti i maneggi, l’asino castrone no, perché non si spendono duecento euro per castrare un somaro, quindi negli allevamenti c’è al massimo un maschio stallone. Non si pensa a utilizzarli per fare trekking, per le terapie con i disabili. La femmina figlia, produce reddito con la vendita del puledro, per esempio agli agriturismi. Fra l’altro l’asino è a basso impatto ambientale, è perfetto se vuoi tenere il terreno libero da rovi, mangia di tutto. L’asino è un ottimo compagno di viaggio, e anche se qualche volta si allontana torna sempre indietro. È un animale che ti leva i cattivi pensieri; comunica con te, ti mette alla prova, propone una sosta, prende la bottiglia fra i denti, si ferma per farsi grattare. Secondo me ha un’intelligenza. Non tutti riconoscono intelligenza all’animale, molti parlano di “associazione”, cioè che l’animale associa l’ordine alla costrizione e alla ricompensa. Io ho notato che l’asino riesce a elaborare. Per esempio, se tu conduci un cavallo, il suo amico gli va dietro. Prova a farlo con due asini: uno lo tieni e l’altro per un po’ viene, ma se trova qualcosa d’interessante come una bella erba fresca o una stradina invitante che va da un’altra parte, lui va. Se gli chiedi qualcosa, lui ti fa vedere cosa preferirebbe. Ecco perché dico che costringerli troppo li inibisce. L’asino scappa meno del cavallo, però si blocca. Lo devi invitare a fare qualcosa, e se è necessario ripeti l’invito con una ricompensa più grossa, così diventa un gioco. Addestrare un asino è molto divertente: gli fai vedere che farsi gestire dall’uomo può essere bello, e lui apprezza la possibilità di essere accudito. Anche le cure, se gli togli i sassi dal fettone è contento; certo che se gli tieni lo zoccolo sollevato per un quarto d’ora e pretendi che lui stia lì immobile, la volta dopo non te lo dà più. Quando si tratta di impiegare gli animali per le terapie, il cavallo è molto indicato per le questioni motorie perché ha un’andatura armoniosa, mentre il punto di forza dell’asino è la relazione che è molto più intima, più rassicurante. Una persona agitata e nervosa rischia di creare problemi al cavallo, quindi casomai vanno scelti cavalli anziani e buoni d’indole. Gli asini sono tutti buoni d’indole, ne trovi solo uno su non so quanti che non è disponibile ad essere curato, pulito, spostato. All’asino piace stare con l’uomo, se viene trattato con dolcezza. Anche i bambini più ipercinetici che ho conosciuto, a stare con l’asinello mitigano gli atteggiamenti. È venuto un carissimo amico, è spastico e non riusciva quasi ad aprire la mano per porgere la miscela; loro sono stati delicatissimi, il cibo glielo leccavano via, mentre a me quasi mi portano via le dita. Quando ho preso gli asini avevo intenzione di fare trekking, ma il lavoro sociale è più interessante del mero turismo. Trekking l’ho fatto con dei bambini in un agriturismo di Santa Fiora, è di persone aperte che mi hanno dato uno spazio per gli asinelli.

Quell’anno con i bambini abbiamo fatto lezioni di avvicinamento all’asino e brevi passeggiate nei dintorni. Qualche bambino è diventato tanto bravo da prendere l’asinello e di farsi piccoli giri autonomamente; nessuno si è fatto male e i bambini sono rimasti entusiasti. Ho l’impressione che con un animale grande tutte le nostre inibizioni si sgretolino perché ti devi concentrare su di lui. Io ti spiego che cosa devi fare e anche se forse hai paura devi farla per forza, per la salvaguardia tua e dell’asino; così anche se hai delle limitazioni impari a gestire le tue paure, a essere meno rassegnato. (…) L’allevatore serio cerca di non sprecare energie, di non dar fastidio all’animale, di rispettarlo, di renderlo produttivo e di avere un utilizzo sano dell’ambiente; poi magari interpreta male i comportamenti dell’animale ed è troppo attaccato al guadagno. Va salvata la parte delle conoscenze. Fra poco mi arriveranno sei femmine, uno stalloncino bellissimo già ce l’ho. Per far fare il latte alle asine bisogna che nascano i puledri, quindi bisognerà poi trovargli una sistemazione. Per le femmine non sono preoccupata perché l’asina è richiesta, per i maschietti un po’ sì perché è più difficile collocarli. Cercheremo attraverso le organizzazioni ambientaliste di trovargli un utilizzo, faremo di tutto per renderli facili da gestire. Serve per tenere i campi puliti, far giocare i bambini e far sorridere i vecchi… Fra l’altro un carissimo amico di Acquapendente, che fa ippoterapia con passione e tanta conoscenza, mi ha proposto di presentare un progetto dove i vecchi insegnano l’asino ai bambini, sarebbe bello riuscire a farlo. (da: Giuliana Giuliani, Coniglio Ernesto, Stampalternativa)

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