Liberi passi in libera campagna


Vecchie dogane piene di rovi, fili spinati e cancelli privati chiudono l’accesso ai sentieri e alle strade bianche.

Come riprendersi il piacere di camminare.

«Maremma spia!», sibilerebbero tra i denti i più controllati dei miei pochi interlocutori mancianesi se sapessero quanto vorrei sovvertire assurde acquiescenze e spifferare, qui ed ora, nomi e cognomi di tutti coloro che per rustico egoismo o per sventata insipienza sono nemici della libera circolazione in campagna. Non ridurrò a piccola bega personale quella che si annuncia come una vera rivoluzione epocale, alla stregua dello scontro tra gli insediamenti di coloni agricoli nel Far west e i liberi cowboys accompagnatori di mandrie al pascolo brado. È successo anche qui in Maremma all’estinguersi della transumanza nella prima metà del Novecento. Le dogane da secoli percorse da greggi che venivano a svernare in Maremma e che ai primi caldi malarici tornavano sull’Appennino sono state asfaltate o hanno cominciato a perdersi.

Son vent’anni che cerco di oppormi a questa deriva. E da qualche parte son riuscito anche ad ottenere risultati. E a farmi dei nemici o quasi. Jacopo Biondi Santi, pur da vecchio amico, ancora mi addebita il fatto di non aver potuto chiudere la dogana che gli passava proprio nel mezzo della proprietà fin sotto il Castello di Montepò. «Te e le tu’ dogane!», mi apostrofa ogni volta che mi vede e non ricorda che io gli avevo sommessamente suggerito di raddrizzarla quella strada lungo il suo confine, evitando anche una inutile e scoscesa deviazione che sicuramente serviva ai precedenti castellani per contar le pecore e riscuoter gabelle. Adesso quel traffico è finito, ma le povere dogane restano proprietà del demanio, cioè di tutti. Invece. Fili spinati e cancelli, macchie di rovi e sottobosco da decenni intonso ostacolano il percorso finché se ne perde la traccia. Ma sulle mappe dell’Istituto Geografico Militare ancora si leggono dogane e doganelle in un fittissimo reticolo che se ripristinato rappresenterebbe un vero patrimonio di mobilità agreste. Non sono solo i gelosi proprietari delle terre limitrofe l’unico ostacolo alla transitabilità delle bianche o verdi stradelle.

Col passar del tempo altre due schiere di nemici hanno sferrato il loro attacco. Per primi i terzisti, insensibili e decisi a sbrigarsi, coi loro trattori ed erpici travolgono tutto e cancellano ogni traccia di esigui percorsi sradicandone anche la memoria. E poi i tonitruanti e puzzolenti fuoristrada: con le loro incursioni domenicali sfasciano strade e orecchi, forniscono la miglior scusa a barriere, cancelli e lucchetti.

Urge lo Slow Trek

E invece da Manciano dovrebbe iniziare la nuova rivoluzione dello Slow Trek: camminare, cavalcare, pedalare e muoversi nella natura senza motori. Primo passo: recuperare tutti i percorsi esistenti e renderli disponibili. Secondo passo: tracciare qualche nuovo collegamento e raccordo per semplificare gli spostamenti e coprire la maggior parte degli itinerari lontano dall’asfalto e dalla maledizione motorizzata non autorizzata a invadere le recuperate o nuove vie verdi. Con multe per i trasgressori. Terzo passo: mettere tutto su Google-map e farlo sapere al mondo. Tedeschi inglesi e francesi impazzirebbero. Gli agriturismi sui percorsi andrebbero a ruba. Già li sento i mettimale borbottare con voce chioccia «Eh, quante ne vuoi fare… Quante volte s’è provato e ‘un ci s’è riusciti! E poi c’è quello e c’è quell’altro che non ti farà mai passare dal suo, e poi ci dovrebbe pensare il Comune».

Tipico atteggiamento disfattista maremmano e stolidamente conservatore che balla tra due opzioni: o è sempre stato così o non si può fare. Basta! Non voglio più sentire scuse! Su questo territorio ci son tanti agriturismi che basterebbe mettere in rete per realizzare percorsi favolosi nell’interesse di tutti. Non solo il Comune deve intervenire, ma anche la Regione e, finché c’è, la Provincia, anzi le Province, perché questo progetto deve comprendere i comuni della prima fascia laziale lungo il Fiora, arrivare al mare da Montalto all’Uccellina e risalire oltre Pitigliano fino all’Amiata. Per adesso fermiamoci qui. A questo vasto territorio che si vede dalla torre di Manciano.

444 m. sul livello del mare

Sono centinaia di percorsi per centinaia di km attraverso la splendida natura maremmana e la sua storia fatta di luoghi bellissimi e sconosciuti e molti irraggiungibili se non a piedi (o a cavallo o in mountain bike). Vasto programma che richiederà qualche tempo per essere completato, ma che non può aspettare oltre a partire. E butto lì la proposta iniziale. Manciano raggiunge sulla torre 444 m. slm. Se guardate una cartina che riporti le altimetriche si possono delineare due circuiti: sopra i 300 metri e sotto i 200 metri slm. Il primo un cerchio abbastanza regolare nel versante sud-ovest tra i due e i tre km dal capoluogo, che diventa più frastagliato sul versante nord, ma che passa facilmente per i Poderi di Montemerano. L’altra frastagliata e più ampia circonferenza, che a sud passa sotto la Campigliola e Montauto per risalire il Fiora da una parte e l’Elsa dall’altra, tra i 5 e i 10 km dalla torre, arrivando fino a Montemerano e chissà dove da quella parte. Utilizzando quello che c’è e tracciando pochi passaggi nuovi (con qualche sottopasso sulla nuova provinciale) si otterrebbero due “circumpedinazioni” una sui 15, una sui 30 km che a differenti altezze abbraccerebbero gran parte del territorio comunale. Un altro paio di estensioni tra lo Sgrillozzo e la Marsiliana e verso Saturnia coprirebbero il resto. Unico problema la fastidiosa sensazione di essere spiati da quell’ invidioso col cannocchiale sulla torre di Manciano.

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