La pastorizia il più antico dei mestieri ma ora in via d’estinzione


Allevare  le pecore per produrre formaggio, pelli, lana e carne è forse il mestiere più antico del mondo. L’uomo domesticò la pecora in Mesopotamia 10.000 anni avanti Cristo e la figura del pastore con le sue pecore è profondamente radicata nella nostra cultura sia laica che religiosa. Il conflitto tra Caino (agricoltore) e Abele (pastore) è indicato dalla Bibbia come atto primigenio della storia dell’uomo. Il pastore con le sue pecore è la rappresentazione archetipa di Gesù che guida e accudisce il suo popolo. Significativo è che quando DIO ordinò a Mosè di costruire l’Arca gli disse di salvare una coppia di ogni animale ma delle pecore un piccolo gregge. La pastorizia tradizionale in questo lungo cammino dalla fine del Paleolitico ad oggi non è molto cambiata.

UN COESISTENZA “DA FAVOLA”

Alcune tecnologie come la mungitura meccanica e il progresso della medicina veterinaria hanno apportato importanti cambiamenti ma il rapporto dei pastori con la natura e la gente è rimasto più o meno quello che era. In questi lunghi anni la civiltà rurale ha iniziato ad estinguersi a favore di quella cittadina, e il rapporto dell’uomo con la natura si sta progressivamente stravolgendo. Il cittadino ha generalmente una rappresentazione della natura molto fuorviante perché la immagina come un contesto paradisiaco molto simile ai luoghi della vacanza e ai parchi cittadini.

Stessa distorsione ce l’ha con gli animali non domesticati che vivono selvaggi nei boschi e nelle praterie, nel cielo e nelle acque. Predatori come lupi e orsi sono stati umanizzati dalle fiabe e dai cartoni animati, ma anche gli animali domestici come cani, gatti e cavalli non hanno subito una sorte diversa.

La sempre maggiore difficoltà economica di fare i pastori, e più in generale gli allevatori di animali bradi, il sempre più complicato ricambio generazionale e la crescente ostilità verso gli allevatori da parte dell’opinione pubblica sta favorendo gli allevamenti “industriali” di grandi dimensioni a scapito di quelli estensivi tipici di chi alleva pecore. Alcuni numeri possono aiutarci a rappresentare meglio la situazione prima di addentrarci in un’analisi più dettagliata del fenomeno. In Italia si allevano più di 6.000.000 di pecore ma il loro numero è calato del 6.5% negli ultimi 5 anni, nel corso dei quali abbiamo anche perso anche il 7.2% degli allevamenti. La Maremma, come noto a tutti, è una area ben caratterizzata del Lazio e della Toscana dove si alleva, rispettivamente, il 9 e il 5% di tutte le pecore italiane. In queste due regioni ci sono ad oggi 15.638 allevamenti ovini. In Maremma, come sta avvenendo in buona parte del territorio italiano, l’abbandono della pastorizia è lento ma inesorabile, e le cause sono molte.

IL “RITORNO” DEL LUPO

Un fatto nuovo è la ricomparsa anche in Maremma, e più in generale nel Lazio e nella Toscana, del lupo, assente da tanti anni da questo territorio. I pastori non più abituati a convivere con questo predatore sono in forte difficoltà e l’opinione pubblica si sta opponendo con fermezza al contenimento di questi animali che ormai, secondo ISPRA, hanno raggiunto i 3.300 esemplari.

Il problema a mio avviso più grave è che ogni dibattito sull’argomento è impossibile perché la questione del lupo è diventata, come tante altre questioni, uno scontro polarizzato tra chi ne vorrebbe una nuova estinzione e chi invece li ritiene una specie intoccabile.

Con la stessa modalità si sta parlando in Italia dell’orso, del cinghiale, delle nutrie, dei caprioli e chi più ne ha più ne metta. Finalmente sta maturando nel decisore politico sia italiano che europeo che gli allevatori delle aree marginali italiane, e più in generale quelli che fanno il pascolo, oltre a produrre le prelibatezze del made in Italy sono attenti e puntuali custodi del territorio e delle tradizioni locali.

CAMBI INARRESTABILI?

Il surriscaldamento della terra sta aumentando la frequenza dei fenomeni estremi e i pastori, se correttamente incaricati e remunerati, potrebbero aiutare la Protezione Civile a prevenire e gestire gli incendi che sono causa di produzione di gas serra e distruzione di alberi che si oppongono al dissesto idrogeologico.

Deve comunque essere ben chiaro che questa proliferazione incontrollata di ungulati selvatici e predatori come orsi e lupi è inaccettabile, ma è anche inimmaginabile auspicare l’estinzione delle specie selvatiche. Bene disse la locuzione latina “in medio stat virtus “, ossia la virtù sta in mezzo.

Alessandro Fantini, Direttore, Ruminantia, Magazine del mondo dei ruminanti

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