Di che morte moriamo? Il tasso di mortalità
Ogni mese un aspetto della salute in Maremma …
L’arcaico concetto di salute come “Dono degli Dei”, che pervase il mondo antico, si è evoluto a seguito dell’affermarsi delle prime competenze mediche, tanto da trasformarsi nel concetto di salute come assenza di malattia e, nel secolo XX, il concetto di malattia si è identificato come semplice disagio fisico; malattia del corpo, da cui: assenza di dolore uguale salute. I nuovi approcci scientifici al problema della salute che hanno preso campo negli ultimi decenni, hanno portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a stabilire che la salute è lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia. Insomma, star bene non significa non avere la febbre, ma essere sereni, fiduciosi nel destino dei propri figli, realizzati nelle proprie aspirazioni, al riparo dalla guerra, in una condizione economica ragionevole, con la possibilità di dotarsi di un’educazione significativa. Utilizzando questi concetti possiamo dire che in Maremma si sta bene? Sì e no, come sempre, dipende di chi si parla e da come si indaga la realtà. Prendiamo oggi in considerazione un altro dei nostri indicatori che troviamo nel profilo di salute dell’area grossetana: il tasso di mortalità.
SOPRA LA MEDIA REGIONALE
Il tasso di mortalità è il rapporto tra il numero delle morti, in una comunità definita e durante un periodo di tempo stabilito, in relazione alla quantità della popolazione media dello stesso periodo. È evidente come un tasso alto (o più alto rispetto a comunità simili) indichi problemi nella vita della popolazione presa in esame. Nella zona sociosanitaria Grossetana, il tasso di mortalità generale negli anni 2017/2029 è stato mediamente di 840 decessi per 100.000 residenti, superiore a quello medio regionale (poco più di 800). Un tasso che nel tempo si era tenuto sempre sopra la media regionale. Perché si muore di più? Come sempre un indicatore preso da solo ci indica, ma non ci spiega molto. Dobbiamo guardare più a fondo. Intanto questo indicatore non è identico nelle varie sub aree di cui si compone la zona grossetana; la piana Grossetana è quella che più si avvicina al dato medio regionale, mentre Amiata e Metallifere (data anche la loro struttura per età) hanno valori notevolmente più elevati.
NON È COLPA DELLA GENETICA …
A livello di genere si nota un più alto livello di mortalità per i maschi (1.050 nella media biennale per 100.000 abitanti) rispetto alle femmine (696). Circa due terzi della mortalità generale sono dovuti a patologie del sistema circolatorio (in particolare cardiopatia ischemica) e tumori. Tutta colpa della genetica: da noi nascono persone più fragili? Questa ipotesi è smentita dai fatti. La Maremma si è antropizzata progressivamente grazie ad una costante immigrazione di volta in volta da zone diverse dell’Italia (e ora anche da altri paesi), per ondate successive, non è certo una “sacca” biologicamente chiusa e soggetta a endogamia e consanguineità. La componente genetica della malattia è fondamentale, ma non più che in altre zone della Toscana. Allora c’è una carenza nel sistema sanitario? Anche questa ipotesi è da scartare, dati gli esiti delle cure non dissimili da altre parti della Toscana (li vedremo nel dettaglio nei prossimi articoli).
… MA DEI NOSTRI COMPORTAMENTI
Al contrario ciò che per prima cosa dobbiamo prendere in considerazione sono i comportamenti individuali (alimentazione, fumo, sedentarietà etc.) legati a condizioni generali di benessere / malessere della comunità. Mi spiego meglio: abbiamo una grande percentuale di obesi tra gli adolescenti in confronto al resto della Toscana, una forte presenza di giovani bevitori eccedentari (binge drinkers), abbiamo tra le più alte percentuali toscane di giovani fumatori. Sappiamo bene come questi ragazzi siano candidati precoci al diabete, alle malattie cardiocircolatorie, ai tumori. Questo che registriamo oggi sarà l’esito futuro, ma come si comportavano i loro padri? Coloro cioè che oggi vanno a determinare il nostro tasso di mortalità? Si comportavano come i figli, solo in percentuali più alte. È evidente, ovviamente, come l’apporto del sistema sanitario alla nostra salute sia importante e lo sarà sempre di più, ma dobbiamo prenderne atto, interviene quando oramai il gioco è fatto, quando la malattia si è conclamata.
Questi comportamenti individuali sono legati a qualcosa? La letteratura in materia ci insegna che c’è una correlazione precisa e continuamente verificata tra i cosiddetti indicatori socioeconomici della salute e stili di vita scorretti: peggiori condizioni socioeconomiche portano a comportamenti individuali sbagliati e peggiori comportamenti individuali portano a una maggiore incidenza di quelle malattie che sono preponderanti nelle nostre cause di morte. Nell’ultimo profilo di salute compilato, vediamo che, riguardo alla media della Toscana, abbiamo un più basso tasso di scolarizzazione, un reddito imponibile medio annuo più basso (circa 19.000 euro contro punte toscane di oltre 26.000), una media pensioni INPS più bassa (poco più di 900 contro gli oltre 1.000 euro della media regionale) e, contemporaneamente, una più alta percentuale di famiglie con un reddito annuale inferiore a 6.000 euro, un tasso di pensioni sociali e assegni sociali in peggioramento (3.93 contro la media toscana di 3.55).
Insomma, se andiamo all’origine della nostra salute, per prima cosa dobbiamo guardare a questi dati e intervenire con forza su questi fattori: è un lavoro di lunga durata, i cui “determinanti” non sono tutti nelle mani dei maremmani, ma chi amministra la cosa pubblica non deve mai perdere di vista queste relazioni. Ci sono altri fattori che si affiancano ai comportamenti individuali e sono le politiche collettive, tipo l’acqua che beviamo e l’accesso a questa, l’aria che si respira, i luoghi che abitiamo, i servizi di cui possiamo usufruire.
ALMENO NON C’È L’INQUINAMENTO
Per le sue caratteristiche la Maremma non ha particolari problemi d’inquinamento (anche se non ne è completamente esente), ma non altrettanto positiva è la condizione dei servizi nei luoghi di vita; non a caso i confini delle nostre “aree interne” si stanno allargando. Che cosa sono le aree interne e cosa significhi la loro declinazione per le popolazioni locali lo vedremo nei prossimi articoli, al momento ripetiamo questo concetto: la malattia fisica è in buona parte (gli epidemiologi stimano oltre il 60%) frutto del malessere, sociale ed economico, dell’iniquità nell’accesso ai servizi, della mancata istruzione, dell’incapacità a gestirsi consapevolmente.
Questo significa che allora possiamo trascurare gli altri “determinanti”, quelli sanitari? Assolutamente no. Vedremo nei prossimi articoli come ha inciso (almeno fino alla pandemia) il nostro ottimo tasso di ospedalizzazione e la nostra rete territoriale della sanità che ha “retto il colpo” dell’infezione, rimanendone però provata e lacerata. È il momento di andare avanti.
Fabrizio Boldrini Docente all’Università di Siena, già Direttore di COeSO
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