Tante domande, poche risposte
Egregio Direttore, caro Richard,
la nascita di un giornale di carta, di un foglio che intenda regalare al lettore ciò che l’immediatezza del pur benemerito web non può, andrebbe festeggiata con rulli di tamburi e brindisi bene auguranti. Se non altro per elogiare il coraggio della sfida. Poi però, posati i calici, qualcuno chiederà: bene, bravi, ma che racconterà questa nuova gazzetta maremmana? A chi? E qui, credimi, cominciano i problemi.
Il fatto è che molte regole giornalistiche che ci hanno fin qui guidato sembrano oggi superate dai tempi e dai fatti. Per intenderci, il mio primo giorno di lavoro in un quotidiano romano, una vita fa, il capocronista mi diede da compilare una noterella dal titolo “Manca l’acqua” con orari, quartieri e cause del disservizio. Oggi l’avviso dell’Acea fa vibrare il telefonino in tempo reale. Molti anni dopo, fresco direttore della “Gazzetta di Mantova”, fui invitato a pranzo dal presidente della locale banca, oltre che decano della città. Che congedandomi, con un volto serio e puntando in alto il dito indice, mi mise in guardia: «E si ricordi che un fatto è accaduto solo se pubblicato dalla “Gazzetta”».
Per capire meglio, studiai la storia della città e del giornale, il più antico d’Italia, e scoprii che nel 1667, tre anni dopo la sua nascita, la “Gazzetta” aveva dato notizia che Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, aveva testé assunto il comando della prima compagnia dei Moschettieri di Francia. Era un’informazione vera a precisa, non una fantasia di Alexandre Dumas. Oggi d’Artagnan annuncerebbe la nomina sul suo profilo Linkedin. E però…
Però ci sono antiche abitudini, metodi di lavoro che certo vanno adeguati ai tempi, ma che non sono morti e sepolti; e altri – ecco una responsabilità della rete – che sono stati invece dimenticati. Nei tanti anni di direzione dell’“Espresso”, per esempio, verificai che l’inchiesta giornalistica sfondava in edicola, purché fosse originale, accurata, ben documentata. E su questa strada abbiamo proseguito.
Ancora prima, nella stagione del “Tirreno”, a quei tempi una corazzata con tredici redazioni e altrettante edizioni, capii che a un giornale locale si chiede che sia vicino, perfino fisicamente vicino ai suoi lettori, che quindi si faccia portavoce delle comunità che rappresenta, e che abbia il coraggio di denunciare errori, ritardi, malgoverno. Con il lavoro dei giornalisti, non con i comunicati stampa…
Ma se questi sono i princìpi sempre validi, come farne pratica corrente? Può aiutare qualche esempio. Si parla ogni giorno di Comune e Regione, ma nessun giornale entra più negli uffici, verifica cosa si fa e quanto si lavora, quali sono i meccanismi corporativi, burocratici, spesso cripto-corruttivi, che rendono la vita difficile al migliore dei sindaci. E mamma Regione si occupa a dovere della Maremma? Come se la cavano i consiglieri eletti qui? Ancora: le banche locali servono il territorio – spesso esaltato nella loro stessa denominazione – e come, in quali settori, con quali investimenti?
E visto che abbiamo cominciato parlando di acqua, qualcuno ha mai svolto un’inchiesta seria sull’Acquedotto del Fiora? Una volta uno dei dirigenti mi rivelò candidamente che ogni giorno si disperde il 30-40 per cento dell’acqua distribuita: «Impossibile controllare migliaia di chilometri di tubi», si giustificò. E dobbiamo accettare la cosa senza battere ciglio? Non si può fare niente? Tanto per cominciare: quanto si spende ogni anno per riparare almeno un pezzo di rete? Si possono limitare i consumi? Si controllano gli eventuali abusi?
Tante domande. Alle quali fornire risposte. Buon lavoro, direttore
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